Due bambine e un bambino, orfani, sono allevati come spietate macchine di morte da un potente uomo d'affari; il suo obiettivo, ottenere killer perfetti, che non osino mai disubbidire agli ordini. Una volta cresciuti, l'uomo non esita ad utilizzarli in missioni estreme, pronto a difendere i suoi affari con la morte dell'eventuale oppositore. In Tailandia per recuperare un prezioso dischetto contenente informazioni compromettenti, Silver Fox e Black Cat, le due donne, finiranno braccate dalla polizia locale. Separatesi, Silver Fox viene colpita alla nuca e abbandonata per morta; si risveglierà priva di memoria, soccorsa da un fratello e una sorella, Rocky e Lan, che gestiscono un bar. Lui è impelagato con il magnate delle scommesse sugli incontri di boxe tailandese, mentre lei, burbera ex-poliziotta di origine hongkonghese, è impegnata nel tentativo di riportarlo sulla buona strada. Le loro vite, che avevano trovato nella sperduta Silver Fox un punto d'equilibrio, saranno sconvolte prima dalla vendetta del riccastro, poi dall'arrivo dei parenti di Silver Fox, mandati dal patrigno ad ucciderla come traditrice (il dischetto è ancora nelle sue mani).
A pensarci (neanche troppo) bene, la trama è qualcosa di ampiamente già visto; soliti killer senza sentimenti - con tanto di trauma infantile -, la perdita della memoria, l'inizio di una nuova vita, l'interruzione dell'idillio e il catartico bagno di sangue finale. Eppure, grazie a una messa in scena elegante e - soprattutto - a tre attrici in stato di grazia, il tutto si solleva ben oltre lo sperato, configurandosi come amara riflessione sugli eterni sentimenti di fratellanza, lealtà e vendetta. Toccante è il rapporto tra Black Cat - un algida ed essenziale Yukari Oshima, per una volta libera di mostrare anche le sue doti attoriali - e Silver Fox, una Moon Lee crepuscolare dallo sguardo perennemente triste. A venir fuori prepotentemente è però la ribalderia di Sibelle Hu nel dar vita a Lan; sigaretta in bocca, lingua veloce, sguardo sfrontato e prontezza di spirito - con tratti essenziali dà vita a un intero microcosmo, rubando la scena alle due veterane in più di una occasione. Stilisticamente curato, Dreaming the Reality ha qualcosa da dire anche per quanto riguarda l'azione; movimenti di macchina precisi e scontri a fuoco inseriti in contesti congegnali al progredire della storia (si veda la fuga dall'aeroporto, con le due assassine nel caos creato tra i passeggeri dal sopraggiungere della polizia) incrementano la buona impressione suscitata.
Tutto perfetto, dunque? Sarebbe sperare troppo. Il film è inevitabilmente affossato dalla parte centrale, in cui si susseguono interminabili sequenze di thai boxe; sono inframmezzi deleteri e inutili - sembrano più depliant per turisti sadici che parti con una reale funzione narrativa. Fosse possibile una viewer's cut, sarebbero senza dubbio le prime parti a cadere sotto le forbici: rimarrebbe un film più compatto ed emozionante.
Hong Kong, 1991
Regia: Wong Jan Yeung
Soggetto / Sceneggiatura: Lee Ho-kwan
Cast: Moon Lee, Yukari Oshima, Sibelle Hu, Ben Lam, Eddy Ko
Dreaming the Reality
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: FILM