Una storia semplice e sfuggente, che sembra voler riscrivere dalle fondamenta le sorti dell'horror cantonese e invece, tramite continui salti, finisce per ridefinire i territori del sentimento in chiave demistificata e umorale, ma al contempo onirica. L'incesto non è tema facilmente raccontabile; si va incontro a un forte tabù sociale aggirabile, forse, solo tramite una precisa presa di posizione accusatoria o di condanna. La sfida di Cheang Pou-soi è quella di raccontare l'incesto con piglio esistenziale, senza prendere posizione, ed anzi in modo partecipato, sentito. Perché l'amore incestuoso (qui tra un fratello e una sorella), è una forma più forte e salda del normale amore tra due persone qualsiasi; deve affrontare, oltre alle normali avversità, anche il giudizio della società. Le scelte di un tema controverso e di una narrazione che non accetta compromessi incrinano la normale percezione dello spettatore, precipitandolo in una riflessione - che si fa universale proprio nella sua estrema singolarità - sui sentimenti e le forze implicate in ogni rapporto profondo tra due esistenze. Evitando ogni sotteso sessuale e limitando qualsiasi contatto fisico - in un procedimento del tutto simile per forza a In the Mood for Loove di Wong Kar-wai - la relazione di May e suo fratello è fatta di sguardi, intuita, incamerata subliminalmente e dunque amplificata; nonostante le iniziali pressioni della produzione, ogni rischio di derive esploitative è scongiurato.
Una storia estremamente semplice, si diceva, che però torna (finalmente) a mettere in gioco la sceneggiatura come luogo sperimentale in grado di cementare la compattezza ideale e simbolica del film. Un gioco di rimandi incrociato con continui flashback narra, polverizzando il tempo e i luoghi, di May e suo fratello, giovani orfani con poche speranze e molti sogni. Lei viene adottata da una famiglia borghese, ma per lui non c'è spazio, costretto a rimanere da solo. E mentre la madre adottiva (una ritrovata Carrie Ng), lotta con un letto che sembra posseduto o indemoniato, i due amanti, ormai adolescenti, sono costretti a rincorrersi in una Hong Kong notturna e vuota, con la paura di non sapersi più ritrovare. In ogni caso Cheang Pou-soi non scade nel didascalismo fine a se stesso e la sua pellicola rimane strettamente narrativa; pur essendo un film a tema, categoria terribile che spesso porta ad eccessi difficilmente digeribili e ad orpelli didattico-moralistici, mantiene ben salda la finalità d'intrattenimento inserendo variazioni sul tema e parentesi surreali (si veda l'ingresso sulle scene di Cheung Tat-ming, simpaticissimo ladro fornito di telecamera, o di Chan Kwok-Bong, poliziotto tradito dal telefonino).
Certo Diamond Hill rimane film imperfetto, disequilibrato - in cui la leggerezza vagheggiata rischia di trasformarsi ad ogni passaggio in arma a doppio taglio. Eppure rimangono una rinnovata curiosità per la sperimentazione (video digitale, ellissi, nessuna paura delle commistioni) e un finale poetico e suggestivo. Cheang Pou-soi è da tenere d'occhio, così come Maggie Poon (la si era vista in Spacked Out, dove dava già buona prova di sé).
Hong Kong, 2000
Regia: Cheang Pou-soi
Soggetto / Sceneggiatura: Cheang Pou-soi
Cast: Maggie Poon, Woody Chan, Cheung Tat-ming, Carrie Ng, Hui Siu-hung
Diamond Hill
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: FILM