Demon of the LuteIl misterioso Demone del Liuto è tornato a terrorizzare la popolazione. I suoi terribili sgherri, marchiati da un ragno dorato, sono sguinzagliati in ogni dove per assoggettare il mondo delle arti marziali. Un maestro eremita, letti gli infausti segni, convoca la sua allieva, Feng Ling, e le chiede di partire per una missione perigliosa. Dovrà recuperare un arco e delle frecce magiche prima che cadano nelle mani del demone; si tratta delle uniche armi in grado di distruggere lo strumento di morte in possesso del perfido antagonista. Nella sua impresa Feng Ling troverà insperato aiuto in un orfano che ha sempre vissuto in una grotta e in una coppia di burattinai, padre e figlio, in realtà abilissimi ladri.
Che lodevole guazzabuglio di invenzioni strampalate! Spade retrattili, braccia allungabili, uomini-aquila, mantelli-tappeto-volanti, strumenti musicali dalle corde di metallo indistruttibili e dalle melodie infernali, ladri con tre braccia, demoni dalle sopracciglia rosse con capelli che crescono all'improvviso; e ancora: carretti volanti, macigni giganteschi ricoperti di carta stagnola, forbici sproporzionate usate come armi, cavalli che camminano al contrario, bambini che si ubriacano, folletti pelati e altri panciuti. Lo scombinatissimo Demon of the Lute è uno dei tanti possibili trait d'union tra la tradizione del wuxiapian fantastique cantonese di marca Buddha's Palm e la modernità barocca di Zu: Warriors from the Magic Mountain, solo che il tutto è pensato per, e indirizzato a, un pubblico di bambini - come ci tiene a precisare una scritta a inizio film. Quindi niente sangue, poca violenza, tanto umorismo grottesco, colori sgargianti, costumi improbabilissimi, spirito da favoletta implosa. Il pericolo del ridicolo involontario, sempre in agguato in pellicole tanto esuberanti, è scongiurato proprio grazie al superamento di qualsiasi limite dettato dal buon senso cinematografico. Ci si trova così di fronte un miscuglio forsennato di ingenuità senza senso ed esagerazioni fini a se stesse, tutto pur di stupire con trovate sempre nuove. L'effetto finale è stordente, ma in qualche modo appagante. A patto, naturalmente, di disinnescare lo spirito cinico-critico e farsi sommergere dalla conturbante follia che inonda lo schermo.
Da notare come la colonna sonora cantonese, come spesso succedeva, sia diversa da quella mandarina. Durante i titoli di testa, realizzati tra l'altro con divertenti disegni in stile fumetto, in quella cantonese scorre una canzoncina pop che richiama Sam Hui, mentre in quella mandarina si sentono riff di chitarra di matrice hard rock! Un ulteriore bizzarria per un film di certo sconclusionato, eppure impossibile da detestare.

Hong Kong, 1983
Regia: Lung Yat-sing
Soggetto / Sceneggiatura: Lung Yat-sing
Cast: Chin Siu-ho, Kara Hui, Kei Kong-hung, Phillip Kwok, Lung Tien-hsiang