Non c’è dubbio, After This Our Exile è l’opera della maturità di un cineasta. Il ritorno dietro la macchina da presa di Patrick Tam, dopo diciassette anni d’assenza, è dichiaratamente la presa di coscienza dei limiti di un percorso artistico pregresso (da parte di un regista comunque sempre spietato critico del proprio operato) che sedimenta in un differente approccio alle istanze di narrazione, di messa in scena e di recitazione. Tuttavia, queste mutazioni nel linguaggio di cinema di Tam non paiono rotture trancianti, sconfessioni o abiure del suo passato, almeno non in toto, giacché, per chi ne ha seguito con trasporto e rapimento la memorabile retrospettiva al Far East Film Festival 2007 di Udine, la sua (ritrovata) passione per il racconto, il realismo e il lavoro d’attore sa di una chiusura del cerchio, di un ricongiungimento con i suoi avvii settanteschi nell’ambito della produzione televisiva.
Se la produzione anni ’80 di Tam lo fece conoscere come formalista, stilista d’immagini della New Wave hongkonghese, After This Our Exile lo rilancia nel nuovo millennio come sentito umanista che prende in carico (persino eccessivamente: si veda la lunga nota introduttiva a firma del cineasta in apertura di film, che alcuni hanno trovato stucchevole, se non pretestuosa) il peso della relazione tra i suoi personaggi e il pubblico, della sua messa in immagini di una storia e della sua eco presso chi la recepisce. Lo fa con una sceneggiatura che era l’esito più convincente dei suoi workshop di metà anni ‘90 in Malaysia, mirati a formare una possibile nuova generazione di cineasti (cinesi) a Kuala Lumpur. E, in effetti, il contesto malaysiano non ha rango di primo piano, se non nell’ovvia riconoscibilità di un certo tipo di spazi da Sud Est asiatico. Squisitamente cinese è invero il nucleo del film: una storia di relazione padre-figlio (Fuzi, padre e figlio è proprio il titolo originale cinese) apparentemente come tante se ne sono vista nei cinema delle Cine. Eppure in After This Our Exile c’è una variazione/violazione del tema dirompente: non di padre assente ci parla Tam, come tanto cinema vuoi di Taipei, vuoi di Hong Kong, vuoi di Pechino, ma di un padre troppo presente, il cui peso ingombrante guasta la vita del figlio. E, nell’assenza della madre, proprio il figlio si rivela una sorta di figura genitoriale per un adulto solo larvato. Una figura di padre padrone dalla tempra debole, meschina resa indimenticabile dalla messa in scena di Tam – forse solamente un po’ accondiscendente? – e da un’ammirevole prova attoriale di Aaron Kwok.
Hong Kong, 2006
Regia: Patrick Tam
Soggetto: / Sceneggiatura: Patrick Tam, Tian Koi-leong
Cast: Aaron Kwok, Gow Ian Iskander, Charlie Yeung, Valen Hsu, Kelly Lin