Il segreto è tutto nascosto nel titolo - in fondo. Un'ode amara all'amicizia. Una riflessione disillusa sui rapporti tra potere e relazioni umane. Una sfida lunga una vita. Un balletto di destini che si incrociano e si rincorrono lungo le strade perdute della lealtà e del rispetto.
Quando forma e materia si uniscono in un tutto unico e inscindibile. Per meglio dire, quando una forma cristallina e selvaggia plasma una materia pulsante e viva senza distorcerne o alterarne il significato. Perché A Hero Never Dies non è altro che emozioni allo stato brado. Emozioni semplici quanto si vuole. Forse persino scontate o banali. Ma rimane una delle più lucide riscritture dell'eterno mito ancestrale di dolore e vendetta che cinema ricordi.
E non si parla di chissà quale evoluzione narrativa, o di chissà quale meraviglia registica. Perché in questo caso il discorso critico non può che farsi da parte - viene cioé superato dal costante fluido di sensazioni contrastanti e persino dolorose che dallo schermo si riversano negli occhi dello spettatore. Di fatto quando una pellicola riesce a sfruttare sino in fondo il medium cinematografico, disquisizioni su virtuosismi, coreografie, capacità tecniche et similia perdono buona parte della loro ragion d'essere. E questo non perché non siano presenti, ma in quanto sono veicolo di un messaggio ben più articolato e soprattutto unitario che permea di sé ogni sguardo. Un connubio che diviene inscindibile, e che dunque non può essere criticamente dissezionato senza perderne il senso o forzarne il significato. Un'alterazione della chimica visiva, sensuale quanto totalizzante. Il risultato è la sensazione ben percepibile non solo di guardare una storia, ma di esservi immersi.
La storia di due killer, due guardie del corpo che sarebbero disposte a dare la vita per i loro rispettivi boss (appartenenti a due fazioni rivali). E come le due bande si contendono gli affari e il controllo del territorio, loro hanno aperto una sfida che sconfina in un confronto perenne e personale. Ciò non toglie che si rispettino e abbiano molto in comune, primo fra tutti un ugualmente alto senso dell'onore. E quando sporadicamente si ritrovano in un bar dove bevono e si sfidano a vicenda in un gioco tragico, sono ben consapevoli di essere entrambi destinati alla morte (un esserci-per-la-morte di heideggeriana memoria, probabilmente). Ma arriva il giorno del tradimento, e ogni loro certezza si sgretola sotto i loro occhi.
Una pellicola disperata, a nervi scoperti, in bilico tra l'eccessivo e il minimale. E proprio in questo suo saper far accettare ogni variazione e sbalzo d'umore sta la sua forza. Un caleidoscopio in cui l'occhio viene abituato ad ogni rifrazione dei colori, manetenendo al contempo intatto tutto lo stupore che ogni sfumatura sa dare. Johnnie To riesce a gestire questo intricato meccanismo emozionale ed emozionante con maestria ineguagliata. Certo se poi andiamo a confrontare questo film con un'opera ancora più matura, quel The Mission di due anni posteriore, non si può non ammettere quanto quest'ultimo presenti meno lati d'ombra e sia tecnicamente superiore su tutta la linea, anche a livello sceneggiativo. Ma mentre The Mission risulta a una prima visione più freddo e calcolato, una perfezione algida e di primo acchito raggelante che abbisogna di più di una visione per essere metabolizzato, è proprio A Hero Never Dies a colpire istantaneamente nel profondo, a far rabbrividire, pur nelle sue sbavature - senza possibilità di fuga.
E' difficile credere ancora agli eroi. Con tutta probabilità A Hero Never Dies è l'unica eccezione. Perché gli eroi, quelli veri, non possono morire - almeno nei ricordi...
Hong Kong, 1998
Regia: Johnnie To
Soggetto / Sceneggiatura: Szeto Kam-yuen, Yau Nai-hoi
Cast: Lau Ching-wan, Leon Lai, Yoyo Mung, Fiona Leung, Lam Suet