Approdato anche in Italia (come Storia di fantasmi cinesi) con il prestigioso tramite della Mostra di Venezia, A Chinese Ghost Story è uno di quei film che non si scordano facilmente. Complicato intreccio di culture e generi, il film di Ching Siu-tung è il punto d'incontro tra tradizione e modernità, perfetta coniugazione di temi classici su forme all'avanguardia.
La storia è tratta da una novella di P'u Sung-ling, scrittore cinese vissuto tra il 1640 e 1715, intitolata Il fantasma di una bella donna (da cui anche Enchanting Shadow di Li Han-hsiang, 1960). A rendere davvero speciale questo wuxia fantasy è prima di tutto l'atmosfera onirica e libera da legami che permette alla fantasia di essere padrona assoluta delle situazioni. L'estrema attenzione alle leggende e al passato culturale cinese - i sutra e gli incantesimi; gli eroi, i demoni e le figure mitiche - impedisce che i voli pindarici diventino eccessivi o esclusivamente legati all'effetto spettacolare. Ching e Tsui Hark non imbrogliano lo spettatore ma lo fanno giocare con le sue stesse conoscenze: sarebbe stato molto semplice creare scene fantastiche totalmente slegate e decontestualizzate dalle tradizioni popolari a cui invece la sceneggiatura attinge, rimanendovi sempre fedele. Un progetto, questo, che non ha altro scopo se non il rinverdimento delle proprie origini, documentandole senza rinunciare alla possibile commercializzazione visiva (spesso infatti Ching Siu-tung ha detto di sentirsi un portavoce delle conoscenze popolari). E' una forma di rispetto che rende la pellicola di altissimo livello culturale, sociale, spettacolare e di intrattenimento.
Le immagini sono di quanto più immaginifico si potesse concepire senza cadere nel grottesco o nell'auto parodia, e anche quando i momenti sono più disimpegnati - un demone che attacca usando la propria lunghissima lingua; schizzi di liquidi organici e di sangue che imbrattano i protagonisti; un proto-rap cantato da un monaco taoista - non si scende sotto il livello di guardia. Ching Siu-tung sfrutta il lungo apprendistato al seguito del padre, autore di wuxiapian per gli Shaw Brothers, e la sua esperienza nell'opera cinese. La sua regia colpisce nel segno grazie allo stile vorticoso, elegante, raffinato e sempre legato al movimento (le veloci soggettive che tanto ricordano La casa di Sam Raimi). Il montaggio estremizza il cinetismo e lo esaspera con un taglio moderno, ai limiti dell'impercettibilità. La lezione di King Hu è stata ben appresa: non serve tanto comprendere cosa stia succedendo, bensì seguire la storia senza perdere le coordinate dettate dell'azione e dal ritmo; due lunghi flashback e il riassunto finale aiuteranno l'eventuale spettatore distratto. A Chinese Ghost Story - capolavoro assoluto, se non si fosse capito - rispetta limiti e generi, riconoscendone l'autorevole importanza e la possibile intersecabilità, insistendo soprattutto sui vortici emotivi tipici del mélo. In questo modo ci si diverte, ci si commuove e si sogna ad occhi aperti di poter condividere emozioni e sentimenti dei due eccellenti protagonisti.
Hong Kong, 1987
Regia: Ching Siu-tung
Soggetto / Sceneggiatura: Yuen Gai Chi
Cast: Leslie Cheung, Joey Wong, Wu Ma, Sit Chi Lun, Lam Wai