Il classico caso di comprimario che diviene primattore dopo una lunga gavetta: anche per queste ragioni non si può non voler bene a Donnie Yen, volto ormai familiare anche ai meno avvezzi al cinema dell’Estremo Oriente. Soprattutto grazie alla sua interpretazione di Ip Man, amatissimo maestro di Bruce Lee, che ha portato Yen a divenire la star più pagata e più richiesta dell’intera Asia, protagonista dei principali film d’azione in costume e non. Come Crouching Tiger, Hidden Dragon: Sword of Destiny, l’attesissimo sequel de La tigre e il dragone diretto da Yuen Woo-ping, in cui Yen impugna la mitica spada Destino Verde che fu del maestro Li Mu Bai, per approdare fino a Hollywood e alla saga di Star Wars. Donnie Yen figurerà infatti tra i protagonisti di Rogue One, imminente primo episodio della serie Star Wars Anthology, prequel sul furto dei piani segreti della Morte Nera che si colloca tra le due trilogie originarie della saga di George Lucas.
Classe 1963, nato come Yen Ji-dan a Guangzhou, ma presto trasferitosi con la famiglia a Hong Kong, Donnie Yen è divenuto dopo il 2008 la star n. 1 del cinema di arti marziali cinese. Una fortuna costruita nel tempo, attraverso il duro lavoro, il sacrificio e la pazienza propria dei forti e dei saggi. Lo spirito di un vero sifu, insegnante di arti marziali e insieme di filosofia sull’esistenza: e la conoscenza e il talento nelle arti marziali sono stati il principale viatico per la carriera di attore di Yen. L’arte marziale è già nel DNA, visto che la madre è maestra di Tai Chi: a quattordici anni Yen è già immerso nel wushu, ma le peregrinazioni della sua famiglia, tra Cina, Hong Kong e Stati Uniti d’America, conducono il ragazzo verso un sincretismo di stili che diverrà il suo marchio di fabbrica. Mentre studia per diventare campione di wushu, Donnie Yen introduce già elementi delle discipline più disparate, come karate, taekwondo, boxe, Jeet Kune Do e kickboxing, perfezionando un proprio stile. Il suo approccio con il mondo del cinema avviene per mezzo proprio del succitato Yuen Woo-ping, regista e straordinario coreografio di arti marziali (sue le coreografie di Drunken Master, Iron Monkey, Matrix, La tigre e il dragone, Kill Bill): si conoscono all’inizio degli anni Ottanta e Yuen sceglie Yen come protagonista per Drunken Tai Chi, film del 1984 il cui titolo internazionale astutamente richiama il precedente successo di Yuen Woo-ping, ossia Drunken Master, pietra miliare nella carriera di Jackie Chan. Interprete acerbo, ma lottatore sorprendente, Donnie Yen stupisce già al debutto per la versatilità e l’impegno fisico dedicato al ruolo.
Nei primi anni Novanta Yen fatica ad emergere nell’affollato mondo delle star di Hong Kong, popolando un numero crescente di pellicole nei panni del villain, temibile ma infine perdente contro l’eroe di turno. È il caso di New Dragon Gate Inn (1992) di Tsui Hark, remake del capolavoro di King Hu, in cui Yen interpreta il malvagio eunuco Tsao; ma soprattutto di Once Upon a Time in China II (1992), sempre diretto da Tsui, in cui Donnie è il campione di una setta di fanatici anti-occidentali, il Loto Bianco, contrastata dall’eroico patriota Wong Fei-hung. A interpretare quest’ultimo è Jet Li, coetaneo di Yen ma già star del firmamento hongkonghese. Il lungo e pirotecnico duello tra i due entra immediatamente tra le sequenze action più memorabili del cinema di Hong Kong e rivela agli occhi del mondo il talento di Donnie Yen. A distanza di anni, in occasione dell’uscita negli USA di Hero (2002) di Zhang Yimou, sarà Quentin Tarantino a ricordare che la “rivalità” (esclusivamente sullo schermo) tra Li e Yen cominciò allora, in quel memorabile duello, ripreso e omaggiato in un nuovo scontro, per espressa volontà di Jet Li, nel film di Zhang. Due stili differenti – fedele al wushu quello di Li, contaminato e variopinto quello di Yen – per due fisicità differenti (alto e slanciato Donnie, dall’allungo letale; piccolo e imprevedibile nelle sue acrobazie Jet): il mondo sembra appartenere a Li, ma mentre quest’ultimo oggi si avvia verso il ritiro dalle scene, Yen è più che mai sulla cresta dell’onda, nel pieno di una seconda giovinezza.
Il debutto alla regia di Yen avviene nel 1997, con il tutt’altro che memorabile Legend of the Wolf: ma è soprattutto come coreografo di arti marziali che il nostro si costruisce una reputazione, specie nel difficile mondo di Hollywood. Sue sono le scene di lotta di Blade II e Highlander: Endgame (e in entrambi i film si ritaglia un piccolo cameo). In patria il primo film della svolta è Iron Monkey (Yuen Woo-ping, 1993), un successo in un ruolo da protagonista: la Scimmia di Ferro è una sorta di Robin Hood della Cina del XIX secolo, che prelude a un’inversione di tendenza. Da qui in avanti Yen svestirà i panni del “cattivo” per indossare quelli del difensore della giustizia e dei più deboli. L’ascesa verso la cima dello starsystem passa da durissimi noir hard-boiled come poliziotto, spesso infiltrato – in SPL: Sha Po Lang (2005), Flash Point (2007) o Special ID (2013) – o da wuxia pian in costume, che esaltano la purezza dello stile marziale, come Seven Swords (2005). Tra i gong fu pian, invece, ossia film di combattimento a mani nude, spicca Ip Man di Wilson Yip (regista anche di SPL e Flash Point, tra lui e Yen si consolida un binomio inscindibile) del 2008, biografia romanzata del Maestro di Bruce Lee e massimo interprete dello stile di lotta wing chun, rilanciato dal film nelle palestre di tutto il mondo e nuova tendenza. Nello Ip Man di Yen vengono canalizzati valori di semplicità, patriottismo, senso dell’onore e della giustizia, che permettono al popolo cinese di riscattarsi dall’ignominia dell’occupazione giapponese (nel primo episodio) o dalla volgare sopraffazione del “padrone” di Hong Kong, la Gran Bretagna colonialista, in Ip Man 2. Un nazionalismo forse confuso ma di sicura presa, per un popolo continuamente alla ricerca di un'identità come quello cinese, disperso tra almeno tre differenti “Cine” (continentale, Taiwan e Hong Kong). Se nel secondo episodio Ip Man/Yen deve difendersi dai colpi letali di un pugile britannico, mentre nell’imminente Ip Man 3 è addirittura Mike Tyson uno degli antagonisti principali del Maestro: la lontananza dal personaggio realmente esistito di Yip Man cresce sempre più, ma ormai Donnie Yen è una star internazionale e in più di un senso Ip Man rappresenta il Rocky di quest’epoca, una saga nazional-popolare e spettacolare che sull’onda del sentimento si permette di forzare la mano alla realtà storica.