In procinto di lasciare la polizia per via di una paralisi nervosa alla mano, l’ispettore capo Waipong Wong (Waise Lee) rimane in servizio per indagare sull’assassinio del suo ex partner. E risale al potente Ching Han (Paul Chu), che contrabbanda semi di coca ai russi: solo tre colleghi (il partner Kam, l’inesperto Hun, il malese Ong Chat-fu) gli danno man forte.
Scritto da Gordon Chan, The Big Heat è il poliziesco più selvaggio e violento degli anni ‘80, dove l’iperrealismo sfocia in picchi splatter (aggiunti dal produttore Tsui Hark, che fece il bello e il cattivo tempo rimontando il film a suo piacimento) che richiamano l’assalto sensoriale di un altro film di Tsui, Dangerous Encounters – 1st Kind (1980): decapitazioni, mani perforate da trapani, corpi tranciati a metà. In pratica un film a sei mani, dato che To rimpiazzò Andrew Kam – giudicato troppo «morbido» da Tsui – durante le riprese: ma il risultato non ne soffre, e anche i personaggi sulla carta più deboli (il novellino che non sopporta la vista del sangue e finisce per sacrificarsi alla causa) brillano di luce propria.
I simbolismi religiosi ammiccano a John Woo (nello scontro finale Wong, la mano ormai paralizzata, spara al nemico grazie a una collana con crocifisso impigliata nel grilletto), ma la battuta più significativa, che acquista sinistre implicazioni pronunciata dallo squalo della finanza Ching, riguarda lo spettro dell’handover: «Hong Kong ha solo 10 anni di vita, non è molto. Non ci si può guadagnare da vivere se non si agisce con risolutezza». Da antologia la sequenza dell’ospedale, con la sparatoria nella tromba dell’ascensore. Il regista Kirk Wong è il gangster con la mano ridotta a brandelli dall’esplosione della pistola.
Hong Kong, 1988
Regia: Johnnie To, Andrew Kam
Soggetto / Sceneggiatura: Gordon Chan
Cast: Waise Lee, Joey Wong, Matthew Wong, Phillip Kwok, Lionel Lo