E vissero per sempre felici e... La puntina gratta sul vinile e perde il solco, il sipario si riapre. Sei mesi scarsi dopo il lieto fine di Love in a Puff, l'idillio tra Cherie e Jimmy, che si sono conosciuti in una pausa sigaretta e si sono dichiarati sempiterno amore smettendo di fumare insieme, sta già svanendo. L'infantile Jimmy mette il lavoro di pubblicitario davanti alla relazione ma, soprattutto, sembra parlare un'altra lingua rispetto a Cherie e non è in grado di comprendere le sensate rimostranze della frustrata compagna. La coppia scoppia. E quando Pechino chiama, entrambi, a distanza di qualche mese l'uno dall'altra, rispondono, trasferendosi per lavoro nella fervente capitale cinese. Nuova città, nuova vita, nuovi compagni: per Jimmy una giovane e avvenente assistente di volo, per Cherie un ricco e maturo ingegnere elettronico. Ma il destino beffardo riesce a farli riunire casualmente anche nel vortice della caotica metropoli.
Come per i suoi due protagonisti, quando Pechino chiama anche Pang Ho-cheung – o, a onor del vero, qualsiasi altro cineasta cantonese, per l'ovvia fascinazione che può avere allargare il proprio potenziale pubblico da 7 milioni di persone a quasi un miliardo e mezzo – non può permettersi un rifiuto a cuor leggero. E allora ecco che l'autore di AV e Beyond Our Ken perde due volte l'innocenza, realizzando a scopi innanzitutto commerciali un sequel e mettendosi nelle capienti mani del drago cinese. Niente di male: è difficile comportarsi da giovani turchi per sempre e sperare di potersi sbizzarrire per tutta una carriera con film liberi come You shoot, I shoot o Men Suddenly in Black. È necessario scendere a patti. Ma c'è modo e modo, e Pang è riuscito a trovare quello giusto.
Il 40enne regista e scrittore hongkonghese, diventato celebre all'inizio del nuovo millennio grazie al romanzo Fulltime Killer, divenuto poi l'omonimo film diretto da Johnnie To e Wai Ka-fai, esordisce nel torbido mondo dei sequel di commedie romantiche senza perdere l'entusiasmo: Love in the Buff, qualitativamente, vale il suo predecessore e, nonostante molti ovvi e fisiologici rimandi e calchi tratti dal primo episodio, si dimostra capace di navigare alla larga dalle risacche dell'effetto fiction, della realizzazione svogliata e con il pilota automatico inserito di una copia carbone del film di partenza. Pang, anzi, trae ottima ispirazione dall'incontro con la produzione cinese continentale e dagli obblighi, i tassativi e le pressioni che una collaborazione del genere può comportare.
Niente di sovversivo o violento, ma c'è un'ironica e romantica allegoria che sottende a e sta alla base dei macchinosi incroci amorosi di Love in the Buff. Jimmy e Cherie testimoniano impotenti al deterioramento precoce della loro giovane storia d'amore e lasciano la vecchia amante Hong Kong. Pechino è il paradiso panasiatico dei lavoratori felici, immagine che fra brillare gli occhi e tintinnare i salvadanai dei vertici culturali cinesi. Qui i due esuli trovano l'amore mandarino, ed è tutto ciò che entrambi dovrebbero voler desiderare. Jimmy trova una versione 2.0 di Cherie, una ragazza più giovane e più bella, che lo coccola e lo mette su un piedistallo. Lo stesso vale per Cherie, che rimedia all'incostanza dell'ex con un compagno solido e buono, innamorato e altruista, che la ascolta e la rispetta. Ma, sorpresa, l'amore è quanto di più irrazionale. I due protagonisti alla laccata, smagliante, moderna perfezione pechinese finiscono per preferire la vecchia, caotica, instabile, passionale, romantica soluzione hongkonghese. Con buona pace del dragone celeste, che potrà comprare il porto profumato ma non potrà mai possederlo.
Hong Kong/Cina 2012
Regia: Pang Ho-Cheung
Sceneggiatura: Pang Ho-Cheung, Jody Luk
Cast: Shawn Yue, Miriam Yeung, Ekin Cheng