Hard BoiledQuando John Woo arriva sul set di Hard Boiled è già un autore affermato, in patria e all'estero, ed è in procinto di partire alla volta di Hollywood per la definitiva consacrazione commerciale. In molti, dopo la parentesi comico-sentimentale di Once a Thief, si aspettano un lavoro maggiormente personale e rimangono delusi di fronte a un poliziesco monolitico dove contano solo i proiettili. A torto però Hard Boiled è dai più considerato una delle opere minori nella filmografia di Woo: certo si tratta di un action movie muscolare e privo di grandi accenti melodrammatici, ma è una lezione di etica balistica e violenza.
Partendo dai presupposti di una storia già vista - due poliziotti in crisi, uno troppo violento, l'altro sotto copertura, si uniscono per la resa dei conti finale contro un pericoloso trafficante d'armi -, il regista mette in scena il «punto di non ritorno»1 del noir hongkonghese. Woo palesa per l'ennesima volta il suo amore per la cultura occidentale (Sam Peckinpah, il polar francese, Sidney Pollack). Il tipico contorno estetico - montaggio alternato (opera del solito David Wu, dello stesso Woo e di Kai Kit-wai), fotostop, ralenti, grandi coreografie - colma, anche contenutisticamente, il gap tra est e ovest. Se Tequila è figlio diretto di Callaghan, più maturo e meno cinico, ma altrettanto efficace quando ha in mano un revolver, le zone d'ombra dell'infiltrato Leung Chiu-wai segnano il confine tra Bene e Male, tra follia e capacità di agire in nome di un distintivo (quantunque privo di valore).
Pur puntando sull'azione e sulla sua potenza visiva, Woo non rinuncia mai a simboli e metafore a lui cari: i neonati innocenti da salvare2; l'ospedale quale ultima spiaggia per uno scontro tra eroi e cattivi; la fede tutta particolare di Tequila che nel tempo libero prega chiedendo una vita (sentimentale) migliore. La cura maniacale per il dettaglio e per la citazione (la pistola del primo omicidio nascosta in un libro di Shakespeare: essere o non essere è il dilemma del poliziotto infiltrato) completano il cerchio, fornendo un'anima vitale a un prodotto che in teoria dovrebbe essere privo. Alcune sequenze sono meravigliose: il bimbo che spegne le fiamme con l'urina; i messaggi in codice cantati in ufficio; il codice cavalleresco che ferma il cattivo Phillip Kwok, ma non il suo capo Anthony Wong, di fronte agli innocenti in pericolo. La straordinaria resa realizzativa di Hard Boiled, la genialità di certe soluzioni plastiche, il discorso frammentario e per certi versi molto sperimentale sono in linea con la trama: «[...] La vera protagonista del film è la macchina da presa, che si muove agilissima tra i corpi che si spostano lungo traiettorie impazzite, con continui cambiamenti di punto di vista, assecondando il ritmo serratissimo dell'azione»3.

Note:
1. Alberto Pezzotta - Tutto il cinema di Hong Kong (Baldini & Castoldi, 1999)
2. «Chow Yun Fat, alla stregua di un angelo nel giorno del giudizio, salva nei bambini i destini della Cina intera». Giona A. Nazzaro, Andrea Tagliacozzo - Il cinema di Hong Kong (Le Mani, 1997)
3. Marco Bertolino, Ettore Ridola - John Woo, la violenza come redenzione (Le Mani, 1998)

Hong Kong, 1992
Regia: John Woo
Soggetto: John Woo
Sceneggiatura: Barry Wong
Cast: Chow Yun Fat, Tony Leung Chiu-wai, Teresa Mo, Phillip Chan, Phillip Kwok

 

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