Lai Siu Gwan è appena arrivato ad Hong Kong dal nord della Cina. Siamo nel 1986. La sua vita diverrà una dura e continua lotta. Prima di tutto per ritrovarsi in un modo di vivere a lui alieno e per raccapezzarsi con una lingua non sua (lui parla mandarino, mentre tutti usano il cantonese). Poi per risparmiare i soldi necessari a sposare la sua fidanzata Siu Ting, rimasta in attesa in Cina. I problemi sorgono quando Lai Siu inizia a vedersi con Lee Kiu - praticamente l'unica persona che riesce a conoscere nel lungo periodo di permanenza - con la quale intreccerà una complessa relazione ai limiti dell'amore. E intanto il tempo scorre inesorabile, la storia si complica, gli anni passano...
Destini incrociati di migranti. Rincorrersi perpetuo di persone smarrite. Il momento della perdita e quello del pentimento. Due vite complementari che non riescono a ritrovarsi. Questo e molto altro nel semplice ma monumentale Comrades, Almost a Love Story. Ed è già tutto presente nel titolo, a simboleggiare quanto sia un film universale. Non tanto nelle due parti che di primo acchito sembrano centrali - "comrades", ad indicare i due immigranti, e "love story", a rappresentare la storia d'amore - quanto quel "almost" (quasi).
Quasi integrati. Quasi una storia d'amore. E' sul filo dell'ambiguità, sull'onda di emozioni disilluse e di sentimenti volutamente nascosti, che vengono dissezionati i sentimenti che dividono ed uniscono Lai Siu e Lee Kiu. Due persone quasi destinate dal fato a vivere assieme, che continuano a rincorrersi in un perenne movimento ondulatorio - come d'altronde suggerisce la struttura circolare del film, pur essendo rivolto sulla linea retta del tempo - senza però mai riuscire a toccarsi. Come in riflessi di specchi, piu' le emozioni sono vicine, più i corpi si allontanano, riflettendo lontano i raggi altrui invece che abbracciarli e inglobarli, tenendoli ancorati a sé. E il gioco è ancora più macchinoso e crudele quando entrano in scena i due estremi. La fidanzata per quanto riguarda lui, un rude ma dolce boss delle triadi nel quale trovare rifugio per lei. Separati, ma vicini, pur contro la propria volontà.
Comrades, Almost a Love Story è quindi un film delicato, rilucente della e nella propria ebrezza estetica. La regia è raffinata e ricercata pur non facendosi mai notare - lontana cioé dagli eccessi di ricerca o sperimentazione che spesso appesantiscono la struttura in altri film, e più fedele ad un'idea sentimentale della regia come occhio vivente degli strani attrattori che muovono i personaggi. Inquadrature languide e sempre ricercate, primi piani lancinanti contrapposti a piani lunghi eterei, pause molto marcate, montaggio atto a ricreare piccole scene della vita quotidiana come momenti a sé che assurgono ad un significato più profondo. Gli attori si ritrovano quindi in una posizione difficile quanto esaltante per le loro possibilità recitative. E la sfida lanciata da una storia tanto particolare, ma rivestita di una innegabile patina di universalità, è completamente vinta. Leon Lai è decisamente a suo agio nella parte di una persona spaesata e provinciale ma anche dolce e sincera. Maggie Cheung - in un ruolo forse speculare a quello avuto in Days of Being Wild di Wong Kar-wai - è naturalmente adatta ad un ruolo ambiguo e sfuggente quanto incosapevolmente debole. Ma anche i comprimari sono ben tratteggiati e vivi - dalla zia innamorata di William Holden, al professore di inglese ubriacone (tra l'altro interpretato egregiamente da Christopher Doyle, direttore della fotografia nei film di Wong Kar-wai), al boss con tatuato Topolino sulla schiena a rivelarne l'assoluta ed impensabile umanità.
Peter Chan prosegue quindi sul proprio sentiero di cinema emozionale (nel senso migliore e non melenso / zuccheroso del termine), tracciato nel passato da Alan and Eric: Between Hello and Goodbye (1991) fino a He's a Woman, She's a Man (1994), in quello che risulta fino ad oggi il suo ultimo film hongkonghese.
Hong Kong, 1996
Regia: Peter Chan
Soggetto / Sceneggiatura: Ivy Ho
Cast: Leon Lai, Maggie Cheung, Kristy Yeung, Eric Tsang, Christopher Doyle