Già con il trittico degli Infernal Affairs firmati da Andrew Lau e Alan Mak, il poliziesco di Hong Kong aveva cambiato faccia, sfumando un po’ l’ardore romantico che aveva animato le pellicole incandescenti di guardie e ladri uscite tra gli anni ‘80 e ‘90, nell’allora colonia di Sua Maestà Elisabetta II, e raffreddandolo in un più compassato tono da thriller urbano, dal meccanismo di scrittura avvincente e forte di personaggi e interpretazioni memorabili (la coppia Andy Lau-Tony Leung Chiu-wai, in questo senso, ha sorpassato di gran lunga anche il duo di star hollywoodiane che, nel remake scorsesiano The Departed, ne ha fatto le veci). La metamorfosi è proseguita nei successivi dieci anni, soprattutto grazie al lavoro dello stesso Alan Mak e dello sceneggiatore di Infernal Affairs, Felix Chong, che insieme hanno firmato un'altra pietra angolare del nuovo poliziesco urbano cantonese: quell’Overheard in cui già nel 2009 si intrecciavano la grande finanza, la criminalità e i destini della gente comune. Meno triadi e più ambienti borghesi, meno palazzoni e condizionatori gocciolanti nei vicoli e più grattacieli di acciaio e vetri, meno inseguimenti e sparatorie e più tecnologia e intercettazioni: è così che si arriva ai giorni nostri e a un film, Cold War, che amplifica ulteriormente questi elementi di delocalizzazione del genere, elementi che l’appassionato di cinema di Hong Kong ha imparato ad amare. Anestetizzate e congelate le pulsioni melò, ciò che traspare dalla trama è il solo cervello, un calcolatore minuzioso per cui i sentimenti costituiscono un intralcio sulla via della ricerca di verità e della soluzione dei casi investigativi più spinosi.
E particolarmente spinoso è il caso al centro di Cold War, una storia che si snoda intorno al sequestro di un furgone di servizio della polizia e dei quattro agenti a bordo, cui segue la richiesta di riscatto e la lotta contro il conseguente caos serpeggiante, che ad ogni decisione presa dalla polizia rischia di far crollare il castello di carta su cui è stata costruita l’immagine di Hong Kong come “Città più sicura dell’Asia” (almeno secondo la sceneggiatura). Uno dei quattro ostaggi è il figlio del vice-comandante Lee (Tony Leung Ka-fai), e la gestione intransigente della crisi e della trattativa coi rapitori da parte di quest’ultimo - forse anche per i motivi personali che lo muovono - finisce per scatenare la reazione dell’altro vice-comandante Lau (Aaron Kwok). Una battaglia di nervi, sotterranea ma comunque pericolosissima, si scatena proprio in seno alla stessa polizia, finendo per coinvolgere Governo e Servizi Segreti.
Come i già citati Infernal Affairs e Overheard, anche Cold War è frutto del lavoro di due menti, quelle di Longman Leung e Sunny Luk. Al loro esordio alla regia, i due possono tuttavia vantare una considerevole esperienza alle spalle, il primo come art director, il secondo come aiuto regista. E questo risulta evidente nella confezione luccicante e notturna, fotografata in un grigio stinto e cementificante, nella regia ardita e sicura e nella sapiente alternanza di ritmo tra azione e investigazione. Se è vero poi che, nonostante la confezione infiocchettata, la trama (soprattutto al principio) è piuttosto farraginosa nel suo incedere, va però rilevato che i personaggi - anche quelli secondari, come quelli di Gordon Lam, Chin Kar-lok e Charlie Yeung - e le loro dinamiche tengono desta l’attenzione fino alla fine della pellicola. Il resto lo fanno le musiche di Peter Kam, pompose e invadenti ma piuttosto funzionali ai tempi e ai modi della storia. L’incetta di premi - ben nove - ai 32imi Hong Kong Film Awards (tra i quali quello per il Miglior film, Miglior regia, sceneggiatura nonché l’ennesima statuetta personale per Tony Leung Ka-fai) testimonia, pur in un anno di magra generale per il cinema di lingua cantonese, se non il valore cinematografico assoluto del film, almeno quello del suo comparto tecnico, cui si possono muovere ben poche critiche. La testa subentra al cuore, la sfida di arguzia sostituisce l’action romantico, e forse è arrivata l’ora che anche l’appassionato di cinema HKese si abitui a considerare passato quel che passato rimane (ma che conserverà per sempre il suo posto nella Storia del cinema mondiale, senza che nessun presente lo possa scalzare) e cominci a valutare quel che giunge ora dai dintorni di Victoria Bay per quello che è: cinema che cambia, come molte altre cose. Chissà che non sia questa la volta buona.
Hong Kong/Cina, 2012
Regia: Longman Leung, Sunny Luk.
Sceneggiatura: Longman Leung, Sunny Luk.
Action Director: Chin Kar-lok, Wong Wai-fai.
Cast: Aaron Kwok, Tony Leung Ka-Fai, Charlie Young, Gordon Lam.